giovedì 24 maggio 2012

"Dark Shadows", Tim Burton

Si aspettava un po’ tutti la reazione di Tim Burton all’ondata necrofila che negli ultimi anni ha esasperato il globo, e finalmente l’effetto twilight ha raggiunto anche il regista più bonariamente dark del terzo millennio (militanza Disney docet).
Johnny Depp questa volta è il vampiro Barnabas, equo prodotto della piccola nobiltà americana e di una strega che non conosce la rassegnazione. Una storia semplice, anche un po’ squallidina: lui sfoga gli ormoni sulla persona sbagliata per poi riversare i migliori sentimenti sulla tiepida cenerentola di turno. Il problema è che la persona sbagliata non ne vuole sapere del suo ruolo, e quindi si vendica nel peggiore dei modi: elimina la sciacquetta e rende lui immortale, in modo che la sua pena non abbia neanche il sollievo della morte.
A guarnire questa trama dagli esiti già annunciati ci sono poi una serie di personaggi più o meno divertenti, quasi tutti consanguinei del protagonista, che a differenza dello spettatore sbigottiscono nello scoprire il bisbisbis trisavolo redivivo - e redivivo almeno su due livelli: quello diegetico (trascorre duecento anni seppellito in una bara) ed extradiegetico (Dark Shadows era anche una serie tv USA degli anni ’60, che Burton omaggia).
Barnabas Collins riemerge infatti dalla sua cattività forzata negli anni ’70 del secolo scorso, scoprendo che l'immortale strega Angelique (Eva Green) ha mandato a monte l’attività di famiglia (commercio ittico) con una concorrenza selvaggia quanto illegale. Quel che è peggio è che la stessa famiglia Collins sembra incapace di riprendersi; parrebbe, anzi, una rovina a sè.
L’assetto anzitutto è matriarcale: un’ancora superba Michelle Pfeiffer/Elizabeth regge gli urti del tempo e dell’economia con ineffabile grazia (tanto che in tutto ciò si direbbe la vampira sia lei); sua figlia Carolyn, adolescente pseudo-hippie, ha sviluppato una sensualità morbosa (“predatrice”, commenterà Angelique) per sopperire alle carenze affettive tutte volte al piccolo di casa, David. Il ragazzino ha infatti un padre idiota e una madre sul fondo del mare, che gli appare in visioni incomprensibili al resto della famiglia, motivo che spinge Elizabeth ad ospitare un’instabile psichiatra (Helena Bonham-Carter/Julia) sotto il proprio tetto, peraltro con scarsissimi risultati. Ciliegina sulla torta, la nuova educatrice di David è la palese reincarnazione/discendente dell’amore perduto di Barnabas, il quale soggiacerà subito all’incomprensibile fascino di Victoria (Bella Heathcote).

Se gli eventi, come già detto, sono prevedibilissimi, molto meno lo è lo svolgimento; Burton riesce a creare diversioni inaspettate, che sono il sale di una storia altrimenti un po’ banale.
Carinissimi gli intermezzi comici: il tocco maldestro delle unghie di Barnabas sulle posate, temute d'argento, la melodia pop attivata per caso sulla tastiera dei ragazzi mentre fa un discorso serissimo con Elizabeth, e soprattutto il suo scambiare (?) l'insegna di MacDonald's per un simbolo satanico. Per quanto ingegnose, tuttavia, queste gag comiche non riescono a bilanciarsi abbastanza con l'atmosfera noir generale. Molto più riusciti sono i contrasti tra scene consecutive, veri colpi da maestro.
Un momento su tutti è quello dell’abbandono del padre di David, nonché fratello di Elizabeth. Intuendo subito che l’uomo è un buono a nulla della peggior specie, Barnabas gli dà un ultimatum: o diventa un padre come si deve o se ne va per sempre, a spese della famiglia. Il becero chiaramente sceglie la via più facile, spezzando il cuore di David e di tutti i presenti in sala. Che razza di uomo è quello che abbandona il proprio figlio dopo averne già perso la madre?
Eppure non c’è tempo che per una lacrima fuggevole: Dark Shadows è per l'appunto un film di continui cambi di registro, e che fa di essi il proprio punto di forza. David non ha ancora finito di piangere che la spalla di Barnabas, accidentalmente esposta alla luce del sole, prende fuoco: impossibile non sorridere malgrado il mezzo shock del piccolo.
Il film è disseminato di questi efficaci scarti. In quella che diventerà probabilmente una scena culto del cinema di Burton, Barnabas trascorre una serata nel bosco in mezzo a un gruppo di hippie, tentando di carpirne i segreti del corteggiamento contemporaneo. Quando ritiene di aver sentito tutto il necessario, comunica ai malcapitati il suo rammarico nel doverli uccidere tutti; poi, con relativa noncuranza, esegue.

Come in tutti i film di Burton, quello di Johnny Depp è il personaggio chiave/protagonista (di solito seguito da Helena Bonham-Carter); qui addirittura lo stesso gioco di contrasti usato in Dark Shadows si riflette in Barnabas. Pur richiamandone (fin troppo) le movenze - sebbene con anche un’inevitabile strizzatina d’occhio a Murnau -  il vampiro  Collins non è disneyano quanto Jack Sparrow, né altrettanto seduttivo.
La sua freddezza fisiologica si riflette in un atteggiamento autoreferenziale e snob, i cui momenti di umorismo nascono solo in relazione all’inevitabile goffaggine di un vittoriano nel ventunesimo secolo. In altre parole, il calore umano è estinto in Barnabas anche da un punto di vista strettamente psicologico; intrigante nonostante la totale mancanza d’empatia e seppur mantenga fin troppo le sue qualità umane più basse (alterigia, orgoglio, indifferenza), questo è uno dei vampiri più coerenti alla propria natura nell’intera storia del cinema. E ciò, maledettamente affascina.
Quanto alla succitata “spalla” femminile, la psichiatra Julia Hoffman (cognome certo non casuale), deve cedere stavolta il suo ruolo di coprotagonista al fascino fatale di Eva Green, la cui prova recitativa è decisamente la migliore del film (ma ci si aspetta ulteriore sviluppo della dottoressa ossessionata dalla giovinezza eterna nell'inevitabile sequel).
Angelique è la punta di diamante di Dark Shadows. Femmina respinta dall’uomo che ama in quanto costui s’è preso una scuffia per la verginella di turno, l’offesa si fonde in lei con l’amore, trasformandolo in odio rapace che travalica epoche.
È del resto palese che il personaggio del film per cui Burton ha più premure sia proprio questa creatura della notte, sopravvissuta a se stessa in funzione del medesimo rogo amoroso che la corrode, la cui entrata in casa Collins di veramente imperioso ha solo la brama delle fredde labbra di Barnabas. E lui, come nelle storie d’amore più disperate (cioè quelle in cui è l’uomo a fuggire al desiderio muliebre da cui pure è lusingato, e in molti casi anche fortificato), si concede ancora una volta, regalandole un’illusione gratuita e una nuova, vitale sferzata di sofferenza, mentre per lui, se così si può ancora dire, la faccenda non è che un mero sfogo ormonale.

Se nella Sposa Cadavere Burton aveva sostanzialmente modellato un’antagonista in nuce (la sposa stessa), liberandola poi in un’esplosione anche metaforica di bontà e compassione, qui è parecchio più sadico. Sceglie infatti un protagonista che per natura sarebbe il vero villain: un vampiro che a dispetto della moda “vegetariana” inaugurata dallo splendido Louis di Anne Rice uccide senza pietà e utilizza i suoi poteri più come un Dr. House che come un Dracula. A lui oppone una donna che rivela la sua ambivalenza solo nel nome, ma che ha almeno dalla sua la “giustificazione” di un cuore spezzato: il che dimostra che un cuore ce l’ha.
La reale, definitiva crudeltà in Dark Shadows è comunque ancora un’altra: non tanto che Barnabas abbia respinto Angelique, causando indirettamente la rovina di entrambe le loro vite. Il peggio è che lei sia innamorata di un uomo che, dopo duecento anni di prove estreme della perseveranza di un sentimento, proprio mentre letteralmente gli porge il cuore strappandoselo dal petto in frantumi (splendido espediente visivo), sa soltanto dirle “tu non sai amare”.
Lieto fine, lietissimo, addirittura nauseante: l’Essere Spregevole corona il suo amore con l’Essere Insignificante, il cui unico pregio è guarda caso un'animalesca tenacia acquisita a suon di elettroshock (come David, anche lei aveva visioni fantasmatiche). Inoltre, causa ennesima maledizione di Angelique, Barnabas è costretto a vampirizzare Victoria per tenerla con sè; il che ha perfettamente senso, dato che i due erano già abbastanza (s)morti dentro. Non c'è da stupirsi che un damerino come Barnabas non sapesse gestire la passione intensa e distruttiva di Angelique (benché ci si domandi se, in qualche frammento dell'eternità che lo aspetta con l'altra inamidata donzella, non gli verrà il rimpianto per quell'ultimo furioso corpo a corpo con la strega).
Con Dark Shadows, Burton conferma ilsuo debole per i "cattivi": i quali, con i loro difetti e le loro angosce, le loro ossessioni e debolezze, non si vergognano comunque mai di mostrare le proprie ombre oscure.